"Rispedire le persone trans nei manicomi"
La strategia contro la comunità trans parte dai minori con varianza di genere e punta a riscrivere la legge 164. Dietro questa "Caccia al trans" ci sono anche i "liberali" italiani
"Se ti battezzano come disforica è chiaro che disforicamente ti costruisci, se ti definiscono patologica è chiaro che come malata ti muovi, se ti considerano criminale, depravata, degenerata, non potevamo essere sante, tantomeno diventarlo, benché oggi tra molte consorelle l'aspirazione più diffusa sembra sia diventata quella di essere o sentirsi 'normali'. 'Io sono una persona normale', si precisa, ripetendolo affannosamente a un mondo la cui unica monolitica normalità resta esclusivamente la propria, ma sembra che tutto questo non sia chiaro".
Porpora Marcasciano - L’Aurora delle trans cattive
La prima volta che mi sono accorto che tutta la narrazione, lo sguardo e il sentimento sulle persone trans era cambiato, è stata durante una diretta Instagram di Davide Faraone, senatore di Italia Viva.
Siamo nel 2021 ultime battute sul famoso ddl Zan. Il capogruppo al Senato di Italia Viva si collega per parlare con i suoi follower/elettori di una legge che da lì a pochi mesi sarebbe morta sotto la scure del voto segreto. Faraone con l’espressione di chi non ha fatto i compiti ripete che il problema della legge è l’identità di genere cioè: «Il fatto che io mi senta di un sesso piuttosto che un altro, autocertificando la mia condizione interiore, e che questo possa cambiare nell‘arco dell’esistenza più volte». Insomma queste persone che un giorno si svegliano e si sentono donne e vanno negli spogliatoi per le donne, il giorno dopo si sentono uomini».
Osservavo il senatore. Era il Faraone di sempre. Dietro gli occhiali niente.
Sempre estraneo e sempre altrove. Eppure quella frase, pronunciata così, era il segnale di un dibattito che da lì a poco avrebbe infiammato il discorso pubblico anche in Italia per anni.
Lo avevo sottovalutato, confesso. Quell’idea delle persone trans che possono cambiare identità di genere con la stessa facilità con cui ci si cambia di abito, mi sembrava un po’ superata, almeno dopo l’approvazione di una legge sulla riaffermazione di genere, n. 164 del 14 aprile 1982 . E invece quella visione ha preso spazio e vigore sui quotidiani, tra tutti La Verità a destra e il quotidiano “liberale” Il Foglio. Una visione dell’identità di genere transfobica, certamente fasulla e chiaramente pericolosa alimentata dall’estrema destra, dal centro liberale appunto e da alcune femministe.
Lo scorso anno Gasparri ha accelerato un processo che ha messo alla berlina la sanità per i giovani transgender. L’Italia si appresta a diventare uno Stato in cui i minori potrebbero presto non avere più accesso legale alle cure per l’affermazione di genere. A chi possono rivolgersi?
A sinistra il quotidiano La Repubblica ha alimentato nei mesi del ddl Zan un dibattito inattrezzato sull’identità di genere con moltissime firme contrarie e critiche verso le persone transgender, su la Stampa sono stati moltissimi gli interventi contro il disegno di legge Zan collegato alla pericolosità delle persone trans. I programmi tv hanno parlato della vita delle persone transgender senza persone transgender presenti, su Omnibus per La7 la giornalista Flavia Fratello ha spesso portato avanti dibattiti sul corpo delle persone transgender presenti. Un metodo antico quello di citare, sì, le immagini dei cosiddetti diversi, ma inserirle in contesti muti alimentando immagini pubbliche troppo deformanti, i media catturano “gli animali esotici” per poi venderne le “pelli”, evocano simboli di un mondo che non rappresentano la comunità T*. Oltremanica arriva dall’autrice di Harry Potter una proiezione ansiosa sulle paura della violenza sessuale. Il cittadino medio è convinto che la varianza di genere sia un problema: che porti a depressione, ansia, autismo, disfunzioni familiari. E poi ci sarebbe l’adolescenza, l’età confusa, dicono che potrebbe portare a fare scelte azzardate.
La sinistra, per così dire progressista, cioè il PD non è riuscito a spiegare il vero significato dell’identità di genere, il fatto che sia qualcosa già riconosciuto, il fatto che le persone trans esistono da sempre e che queste proiezioni violente e transfobiche hanno poco a che fare con la realtà.
Nessuno, inoltre, è stato in grado fino a oggi a spiegare coerentemente perché l’identità di genere di una persona dovrebbe giustificare gli interventi biologici che servono per l’assistenza di genere. È qualcosa che arriva da lontano. Cioè perché una persona anche se adolescente ha questo bisogno di riaffermare il proprio genere e perché non è poi così sbagliato soddisfarlo?
In passato le persone transgender venivano raccontate come persone malate, si parlava di disforia di genere, disturbo di genere incongruenza di genere. L'idea che le persone trans soffrano fondamentalmente di una malattia mentale è stata a lungo utilizzata dagli psichiatri per decidere chi è più qualificato per riaffermare il proprio genere e chi no. Insistendo sulla validità medica della diagnosi, i progressisti hanno ridotto una questione di autodeterminazione a una questione di salute pubblica. Questo ha dato al movimento anti-trans un potente strumento per patologizzare sistematicamente i minori transgender.
Ecco, come si può reagire a tutto questo? Ho letto in questi giorni un libro molto interessante di Judith Butler, “Chi ha paura del Gender?”, in Italia lo pubblica Editori Laterza è un tentativo e promette di accendere aprire un dibattito serio sulla questione che davvero non possiamo più ignorare.
Tutto parte dal panico morale per “l'ideologia del genere”. Il gender è diventato un fantasma dotato di poteri distruttivi, in grado di catalizzare e intensificare molteplici forme di panico sociale. Chiaramente, vi sarebbero buone ragioni, tutte legittime, per avere paura nel mondo contemporaneo, spiega Butler. Ci sono ad esempio i disastri climatici, le migrazioni forzate, la brutale precarizzazione delle vite e le guerre. Ci sono sistemi economici basati sull'ideologia neoliberista che stanno deprivando intere popolazioni di servizi sociali e sanitari di base, necessari alla vita in quanto tale. Ci sono forme di razzismo sistemico che uccidono con violenza le persone nere, in modi più o meno rapidi. Ci sono tassi spaventosamente elevati di violenza - inclusa l'uccisione - nei riguardi di donne, persone queer e trans, e in particolar modo di quelle non bianche.
Ma a destra, invece, l'elenco delle paure è molto diverso: riguardano la sfida che il gender ha mosso al potere patriarcale, alle strutture sociali e statali eterosessuali e alla famiglia tradizionale; oppure le ondate migratorie che minacciano le idee tradizionali di nazione, di supremazia bianca e di nazionalismo cristiano.
L’entrata nel cono di luce delle persone transgender ci riporta a qualcosa che abbiamo già vissuto con la comunità LGB ma che forse abbiamo rimosso. Se in passato, lo scandalo era la “devianza”, oggi ciò che preoccupa e spaventa, fino all’odio, è la possibilità di una, passatemi il termine, normalità transgeder, e della sua realizzazione affettiva, familiare. Il movimento anti-trans di oggi vuole punire chi si permette di appartenere al tessuto sociale. Il problema è sempre la cittadinanza. Lo è stato in passato per la comunità omosessuale. E lo è ancora oggi. Nell’odio transfobico si aggiunge anche il disprezzo/paura per chi si permette di “sovvertire” un “ordine” considerato universale: gli uomini sono maschi e le donne sono femmine. Una posizione normativa in cui natura e cultura vengono fatte coincidere: ogni deviazione sarà patologica o immorale. Per molto tempo, in Italia soprattutto, la rappresentazione mediatica più comune di una persona transgender è stata quella della prostituta trans; una rappresentazione che ha creato un vincolo tra le identità transgender, la criminalità e la pericolosità sociale (come del resto è accaduto in passato anche alle omosessualità). Questo vincolo esiste anche quando la prostituzione evidentemente non c’entra nulla: pensiamo al caso di Caster Semenya atleta intersessuale discriminata e trattata come una criminale, accusata di “approfittarsi” (come le prostitute traggono profitto) della propria condizione (che nel suo caso è da ascrivere addirittura ai cromosomi). Per non parlare del più recente caso di Imane Khelif e altre donne raccontate come transgender per via del loro patrimonio genetico.
Il movimento anti-trans oggi si trova di fronte a nuovo diritto universale rivendicato da un gruppo politicamente giovane. Per questo ha paura, è disperato. Inizia attaccando prima la salute dei minori transgender (è il caso di Gasparri, dell’interrogazione parlamentare contro l’ospedale Careggi e dell’uso della triptorellina), poi arriva all’affermazione di genere delle persone trans che nonostante sia un un fatto consolidato vuole mettere in discussione attraverso il tavolo aperto del ministro della Salute e quello della Famiglia.
Pendere ciò che è di fatto una questione sociale, quindi una questione di diritti quelli delle persone transgender con quella che nei fatti una questione medica, di prove scientifiche cioè la questione dei bambini con varianza di genere. Mescolano tutto e lo mettono in discussione per mettere in discussione la richiesta di diritti, naturalmente. È una tecnica. Funziona.
Naturalmente a sposare queste battaglie c’è da sempre una destra ultracattolica, che parlano di ideologia gender, di corruzione di bambini. Ed è anche abbastanza scontato individuare le femministe critiche cosiddette transescludenti. Un gruppo che affonda le sue radici nel femminismo lesbico degli anni 70. “Transexclusionary femminista radicale transexclusionista”, viene utilizzato per descrivere qualsiasi femminista che che giustifica le sue opinioni anti-trans citando i diritti delle donne. Durante il ddl Zan ricordo che la loro posizione sul termine "identità di genere" era ostile perché indicherebbe che si possa passare da un genere a un altro (o rimanere in mezzo) con conseguente perdita dei punti di riferimento per i vecchi termini che usavamo, onnicomprensivamente: maschio e femmina, uomo e donna. Facendo finta di non conoscere l'etimologia e l'uso della parola "genere" si scagliano contro l'identità per motivi che risultano incomprensibili. Come se alla base di moltissime delle riflessioni femministe non ci sia proprio questa distinzione tra sesso biologico e comportamenti socialmente determinati. Senza rendersi minimamente conto ( o si? ) della sostanziale identità di vedute e di pensieri. E soprattutto con l'aggressività (verbale) che si riserva alle questioni che si conoscono poco o male. O a quelle che servono per difendere altro da ciò che si discute. Da un livello eminentemente sociologico/giuridico si passa a un livello ideologico negando la realtà: non sono forse i nostri comportamenti determinati "anche" (e non solo....) dalle norme di comportamento sociali? Non è qui in discussione il "quanto" siano determinati, ma che lo siano e quindi che possano determinare anche le nostre scelte sessuali. Non ho molto da dire sulle femministe transescludenti italiane. La storia dimostra che chi costruisce la propria identità contro quella altrui, qualunque essa sia, è condannato e condannata alla violenza, verbale prima di tutto. Perché un conto è lottare contro chi si dice contrario alla nostra personale identità, un conto è lottare contro l'identità altrui.
Ma la fonte più insidiosa del movimento anti-trans in questo Paese sono, semplicemente, i liberali. Il cosiddetto centro di questo paese è molto spostato su questioni anti-trans. Crede che il genere sia determinato dal sesso alla nascita si oppone ai bloccanti della pubertà per i bambini trans.
Il liberale anti-trans non è un ideologo, un neocattolico, un femminista. Fa parte dei cittadini preoccupati. I media danno sempre spazio alle loro paure e preoccupazioni, indipendentemente dal fatto che siano giustificate o meno. Nessun altro gruppo viene così coccolato come “i liberali”. L’empatia concessa a loro ha aperto le porte negli ultimi annni del centro della società legittimando preoccupazioni discutibili e creando un terrendo fertile per il populismo (quale ironia). In America viene definito trans-agnostico. liberale, un tarl. La preoccupazione principale del tarl, a sentire lui, di proteggere la libertà di parola e la società civile dalle forze illiberali della sinistra woke. illiberale della sinistra “sveglia”, che, imponendo l'ortodossia del gender l'ortodossia di genere in gola al pubblico e attaccando ferocemente chiunque osa fare domande, traffica in censura, intimidazione e fanatismo quasi religioso, e di fanatismo quasi religioso. Alle presunte paure che alimentano l’odio, l’emarginazione e la discriminazione viene dato più spazio che ai timori fondati delle persone trans.
Per quanto riguarda le persone trans, il tarl afferma di non prendere alcuna posizione se non quella di esprimere la sua generale empatia per chiunque soffra di disagio psicologico o di violazioni dei diritti civili.
Allo stesso tempo, questi media “liberali” si rifiutano di trattare la questione della transizione come farebbero con qualsiasi altra questione sanitaria. sanitaria. Pochi mesi fa Linkesta ha pubblicato delle lettere firmate da genitori che si erano “pentiti” di aver sottoposto i propri figli a un percorso di affermazione di genere. “Le storie strazianti delle famiglie con figli trattati con i farmaci per la disforia di genere”, titola l’articolo. Ricordo di aver ricevuto anche io queste mail. E dopo una ricerca, non troppo difficile in fondo, ho appurato che arrivavano tutte dalla stessa persona. Che credibilità potevano avere? E questi genitori dove hanno portato i loro figli a intraprendere un percorso così raro in Italia e così tracciato? E cos’è questa associazione che nasce da lì a poche settimane e che dice di raccogliere i genitori delle persone trans che hanno fatto la cosiddetta “detransizione”? Associazione fantasma, nessuno di loro ha un nome, cognome un volto. Sono domande da porsi se si fa questo mestiere. Ma ai cittadini liberali preoccupati, questo non interessa.
Non sono soltanto questi media anche molti intellettuali o scrittori hanno iniziato a convertirsi al vittimismo woke transgender. Ex assessori che scrivono cose oggettivamente orrende, si dimettono dopo essere stati giustamente criticati e poi imbarcano un progetto anti-woke insieme ai sopravvissuti del centro. Basta leggere questo manifesto firmato da Ivan Scalfarotto, Anna Paola Concia, Simone Lenzi.
L’idea di fondo a cui stiamo arrivando e che le persone transgender siano qualcosa che nessuno sano di mente vorrebbe mai essere. Il blocco anti-trans ha in generale ha preso di mira i bambini perché è un obbiettivo facile da sovradeterminare ma allo stesso tempo stanno cercando infantilizzare anche le persone trans adulte. Il percorso è chiaro, bisogna però illuminarlo bene. Parlare di persone transgender come persone malate che hanno bisogno di cure sanitarie per guarire è forse una tecnica fragile. Quello che bisognerebbe difendere dal principio è l’idea della cura, dell’accesso alle cura a prescindere dal sesso, dall’età, dall’identità di genere.
Per farlo però bisogna essere molto informati. Molto preparati. Leggere molto. Ed è qualcosa che il movimento Lgbt fa sempre meno. “Un dibattito pubblico informato diventa semplicemente impossibile se ci si rifiuta di informarsi a proposito di ciò che si intende legittimamente contestare. Leggere non è solo un passatempo o un lusso: è una precondizione della vita democratica, una pratica volta a far sì che il dibattito e anche il disaccordo restino centrati, radicati e produttivi”, scrive sempre Butler.
Dopo tessere alleanze. Con i media, con la politica, con chi non capisce ma può farlo se viene messo in condizione.
Poiché il fascismo si manifesta nel tempo, occorre vigilare su ogni singola fase in cui emerge e identificare i potenziali fascisti quando appaiono. Nulla di tutto ciò implica che i potenziali fascisti edificheranno regimi fascisti, ma se la disponibilità a resistere è un imperativo, e lo è, allora dobbiamo identificare questi potenziali e agire contro il loro slancio crescente. Fermare questo slancio è possibile, ma solo se interveniamo come una forza basata sull'alleanza, e non come un gruppo che, puntualmente, distrugge i propri legami interni. Questo significherebbe replicare la logica a cui ci opponiamo, o a cui dovremmo opporci. Al contrario, è solo se le nostre alleanze diventano in grado di sprigionare il potenziale della democrazia radicale che possiamo dimostrare di stare dalla parte della vivibilità, dell'amore, in tutte le sue difficoltà, e della libertà, rendendo questi ideali così convincenti che nessuno potrà distogliere lo sguardo, rendendo il desiderio nuovamente desiderabile, e farlo in modo tale che le persone vogliano vivere, e vogliano che anche altre persone vogliano vivere, nel mondo che immaginiamo, dove il genere e il desiderio appartengono a ciò che definiamo libertà ed eguaglianza. Cosa succederebbe se facessimo della libertà l'aria che respiriamo insieme? Dopotutto, è proprio l'aria ciò che più abbiamo in comune, è l'aria che sostiene le nostre vite, a meno che, naturalmente, le tossine - e ce ne sono molte - non pervadano l'atmosfera.
Invasioni di campo: non sono un critico, ma vi consiglio un film
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Ho un debito molto grande con queste ragazze del secolo scorso, soprattutto con Porpora Marcasciano e Nicole De Leo, un debito di intimità, che è bene più prezioso dell’amicizia e dell’amore – sebbene talora possa capitare di confonderli o per meglio dire: sovrapporli.
L’intimità è un’alchimia misteriosissima. Puoi vivere tutta la vita con qualcuno, essere figlio, padre, sorella, marito, moglie – conoscere dell’altro ogni abitudine, ogni debolezza, condividere nascite morti e passaggi cruciali della vita ma non raggiungerla mai. Non coglierla.
Come se una membrana, pur nella confidenza suprema, restasse a separare il tocco: chi abbia avuto la fortuna di provare l’esperienza del contrario sa che meraviglia sia, l’assenza di quel velo.
Poi ci sono persone che non sai perché – non fai la stessa vita non le vedi mai – arrivano e sono lì: nel contatto assoluto, arreso. Con Porpora e Nicole è stato così, anche con qualche diffidenza al principio perché non è facile mollare la presa: la resistenza, il contegno, la prudenza. Sarà perché attraversiamo una comunità, perché sono attiviste di lungo corso, conosciamo la passione e la fatica: quel modo di dire con gli occhi che brillano, di ascoltare e non chiedere, una parola di meno – meglio.
Ma non basta. Poi un giorno mi hanno parlato di questo film. Un sera d’estate, a Ostuni. Così semplicemente, così chiaramente che ho pensato: sarà stupendo. Non era ancora terminato quindi non potevo scriverne, parlarne, ero vincolato dal segreto.
Poi è uscito. Ho visto il lavoro di Roberta Torre – è suo il film – e mi ha dato quel che non sapevo cercare.
È un film che resta a lungo negli occhi.
È misterioso almeno quanto l’intimità, il lavoro di cinque donne favolose.
S’intitola Le Favolose questo film. È uscito nel 2022. Se non lo avete ancora visto adesso è disponibile anche su Prime Video.
Resta e oltrepassa lo sguardo. E arriva fin qui - in quest'altro mondo, tra altre miserie e altri inganni - quella frase: ragionano con gli occhi
Non ve ne parlo affatto, vedete: è solo per dire grazie ragazze. E così bello dirlo, certe volte, a qualcuno.